Anche se con un giorno di ritardo, vorremmo ricordare l’anniversario della tragica scomparsa di Renato Curi, stroncato da un arresto cardiaco il 30 ottobre del 1977: all’inizio del secondo tempo di Perugia-Juventus, il 24enne centrocampista degli umbri si accascia improvvisamente al suolo e non si rialza più.
“Riaffiorano i brividi –leggiamo su Storie di Calcio–, sull’onda di un singolare scambio via radio. «Scusa Ameri, qui a Perugia…» «Ho già capito tutto, Ciotti, e ti passo la linea». Ma il grande Enrico Ameri non poteva immaginare, come tutti gli sportivi in ascolto quella maledetta domenica, che Sandro Ciotti non chiedeva il collegamento per intervistare qualche personaggio catturato al volo dopo il calcio minuto per minuto, ma per consegnare un terribile annuncio: «Il centrocampista Curi del Perugia è morto»“. Un colpo tremendo, per tutti. Infatti, “come sempre accade, un attimo dopo sì scatenano le polemiche. Si apprende che il giocatore ammetteva senza problemi, scherzandoci su, di avere “il cuore matto”, dunque i medici potrebbero avere avuto qualche responsabilità nella sua tragica fine. Perché non gli era stato impedito di mettere a repentaglio la propria vita? E poi: il giocatore era reduce da un infortunio a una caviglia, fino all’ultimo la sua presenza in campo era stata incerta. Curi era importantissimo per il gioco del Perugia e anche dal punto di vista psicologico contava averlo in campo: suo era stato il gol alla Juventus che nell’ultima giornata del campionato 1975-76 aveva sottratto lo scudetto alla Signora, regalandolo al Torino“. Secondo il medico del Perugia, Curi era guarito: “le uniche perplessità riguardano la sua attuale tenuta atletica“. Due giorni dopo, martedì 1 novembre, La Gazzetta dello Sport accusa: “Curi non è stato fermato in tempo“. Decisiva la dichiarazione del professor Severi, autore dell’autopsia: “È stata trovata una malattia cronica del cuore capace di dare morte improvvisa“. Si scatenano le polemiche ma, seguendo l’usuale “copione”, si spengono a poco a poco fino a lasciare spazio alla più stretta attualità. Il portiere e medico Lamberto Boranga, compagno di squadra di Curi, ipotizza che il giocatore conoscesse i rischi cui andava incontro ma che li mettesse nel conto della sua passione per il calcio, alla quale gli sarebbe stato impossibile rinunciare.
“Ma chi era Renato Curi? Non un campione nel senso pieno del termine -prosegue Storie di Calcio–, forse stava diventandolo, come spesso capita al culmine di carriere nate in sordina e costruite con serietà e professionalità anno dopo anno. Era nato ad Ascoli Piceno il 20 settembre 1953 ed era cresciuto nel Giulianova, con cui aveva esordito in Serie D. Quattro stagioni, con la promozione in C, e il posto da titolare a diciassette anni, segno di un talento autentico. Instancabile motorino di centrocampo, aveva il dono di saper far girare i compagni, trovandosi sempre nel vivo del gioco. A vent’anni, la prima occasione gliel’aveva offerta il Como, ma quella stagione in B non era stata esaltante. Allora lo aveva preso Castagner al Perugia, venendone ripagato con la pronta promozione in A. Un evento storico, così come la brillantissima salvezza dell’anno successivo. L’umile gregario, avanzando l’esperienza, si scopriva regista di eccellente puntualità anche nella massima serie“. Un umile gregario, certo, addirittura il più basso del campionato, con i suoi 165 cm. Eppure, “se un destino crudele -commenta Giovanni Manenti nel gruppo Facebook CALCIO 60 70 80 e non solo…– non lo avesse così presto strappato alla sua famiglia e al calcio, probabilmente Curi avrebbe fatto parte a pieno titolo del “Perugia dei Miracoli” guidato da Ilario Castagner a sfiorare il titolo di Campione d’Italia nel ’79 e concluso dalla squadra umbra imbattuta, mentre, solo poco tempo dopo la drammatica scomparsa, è stato a lui intitolato lo Stadio dove i “grifoni” disputano le proprie gare casalinghe…“. Lo stesso Castagner era certo che Curi si sarebbe vestito di Azzurro, presto o tardi: “Ci hai lasciato col tuo solito sorriso. Ognuno di noi ha il diritto di scegliere come vivere e come morire. Per tutto ciò che hai fatto, per tutto ciò che eri, avresti meritato la Nazionale. Ora però sono sicuro che avrai un posto fisso nella Nazionale del Cielo“.
In conclusione, “la vicenda giudiziaria si trascinò per qualche anno, chiudendosi in primo grado con l’assoluzione e poi in appello con una lieve condanna (un anno coi benefici di legge) per il medico del Perugia e quello del Centro Tecnico di Coverciano. Il pubblico ministero nella sua appassionata arringa aveva detto: «Quando un giocatore entra in una squadra professionistica, diventa solo un numero per tecnici, medici, dirigenti»“. La cosa certa, ripensando per esempio al caso di Piermario Morosini (la morte di Davide Astori è comunque un’altra faccenda), è che il mondo del calcio ha impiegato decenni, dopo la tragedia di Curi, per cercare di correggere i propri errori.
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